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Monster – The Ed Gein Story: Se Forrest Gump avesse avuto una madre sciroccata (e una passione malsana per i mobili d’arredo in pelle umana)

Ryan Murphy torna su Netflix con Monster: The Ed Gein Story, nuova tappa nella sua antologia del male reale: la vera storia del killer che ha ispirato Psycho, Non aprite quella porta e Il silenzio degli innocenti.

La Seconda guerra mondiale non ha lasciato solo macerie e morti, ma anche un’eco tossica che ha inquinato il Novecento. E forse pure noi. I suoi fantasmi hanno inquinato il XX secolo e, chissà, anche oltre. Ryan Murphy prova a raccontarlo su Netflix in Monster: La storia di Ed Gein.

Antesignano dell’orrore

Ed Gein, il contadino più inquietante del Wisconsin, torna sullo schermo come se fosse un parente scomodo che Netflix si ostina a invitare a cena. E noi, col piatto di pasta in mano, lo accogliamo — perché in fondo siamo tutti un po’ curiosi di guardare il male da vicino, purché resti dentro lo schermo.

Ryan Murphy ormai fa true crime come se stesse collezionando figurine Panini del disagio e qui costruisce un racconto che non è solo la storia di un mostro, ma di come i mostri siano diventati intrattenimento. Ed Gein è la genesi del freak moderno, il prototipo di Norman Bates, Leatherface e mezzo cinema horror del Novecento.

Il problema è che qui non c’è più la distanza della finzione: tutto è vero, tutto è documentato, tutto puzza di stufa a carbone e colpa cristiana.

Come nasce un mostro

Ed Gein (Charlie Hunnam) cresce con Augusta Gein (Laurie Metcalf), la madre bigotta, impaurita dal sesso e ossessionata dalla verginità dei figli. Pare già ovvio così che diano di matto. Durante anni di violenze fisiche e psicologiche, privazioni e botte, prima muore il fratello di Ed, poi la madre ha un ictus e infine schiatta, lasciando il giovane figlio da solo con i suoi incubi. Gein non sembra sveglissimo, ma va detto: non ha avuto una vita facile. Gli piace masturbarsi indossando la biancheria femminile. Ma si vergogna e, quando lo scopre, la madre lo punisce. MInaccia di castrarlo. Poi la sua amica Adeline gli mostra le immagini dei campi di concentramento nazisti, in seguito gli fa leggere le storie incentrate sulla figura della “cagna di Buchenwald”, Ilse Koch (Vicky Krieps). Il tutto lasciato sedimentare su pulsioni represse lo condurranno verso la schizofrenia e – questa la tesi di Murphy e Brennan – a sviluppare una malsana passione per i mobili d’arredo in pelle umana oltre alla tendenza ad accoppiarsi con i cadaveri. C’è chi colleziona soldatini. O  robottoni giapponesi. Lui, in mancanza di PornHub, preferiva lampadari in pelle umana e vulve essiccate, oltre a un cadavere sul tavolo della cucina con cui sfogarsi. Tutto ciò potrebbe anche essere la conseguenza di una insistita dieta a base di scatolette di maiale e fagioli, ma è più che altro è una mia teoria.

La riflessione sul cinema 

“Stanno bruciando dei bambini”, dice a un certo punto Tobe Hooper riferendosi ai villaggi vietnamiti dati alle fiamme e visti in prime time al telegiornale. Sembra una frase buttata lì – è il 1973, ma potrebbe essere il 2025: cambia solo il filtro di Instagram — invece è il manifesto della strada apparentemente secondaria che prende Monster: La storia di Ed Gein. La violenza privata diventa linguaggio collettivo, il trauma individuale si fa pop. Dalla guerra al Vietnam ai talk show del pomeriggio, abbiamo imparato a guardare il dolore come si guarda un trailer. Magari in 4K, con i popcorn in mano.

Una riflessione sulla società delle immagini e sul nostro modo famelico di consumare dolore e intrattenimento: su come, una volta liberato il genio della violenza dalla lampada, non siamo più riusciti a infilarcelo dentro. Con la sua mamma invasata e la casa museo della follia, Ed Gein è diventato un virus che ha infettato l’immaginario collettivo: Psycho, Non aprite quella porta, Il silenzio degli innocenti… tutti figli di un uomo che vedeva la realtà come un film distorto. E così Monster: La storia di Ed Gein si prende del tempo per raccontare Hitchcock e Anthony Perkins alle prese con il materiale per Psycho, si lascia intendere un parallelismo tra l’omosessualità repressa dell’attore e tutto ciò che può aver represso lo stesso Gein. Lo spiega lo stesso Hitchcock/Hollander a Perkins/Pollari tra le pieghe delle puntate a loro dedicate. È per questo che Hitch lo ha scelto: Perkins ha qualcosa da nascondere e il regista voleva mostrare cosa una mente combattuta può arrivare a fare. Lo voleva mostrare alle famigliole in adorazione del Sogno Americano, quelle che abitano le casette a schiera, vanno al supermercato a consumare e il sabato sera al cinema tutti insieme appassionatamente. Per Tobe Hooper di Non aprite quella porta Gein è ila metafora della violenza del XX secolo, non quella privata, ma quella tra le nazioni, la guerra in Vietnam e la repressione del governo. E piano piano questo virus inizia a prendere possesso dei telegiornali, delle prime pagine dei quotidiani e arrivano i Bundy, gli Speck e altre inquietanti figure guadagnano la ribalta. Non è un mostro, è una pandemia, un contagio planetario che viaggia attraverso le bocche, gli occhi e le orecchie di ogni nazione. Monster è anche una serie tv sul cinema, su come il Male diventa linguaggio visivo. Dopo Ed Gein, Hollywood non ha più inventato l’orrore: l’ha solo fotografato meglio.

Ieri, oggi… domani? 

C’è anche Adeline (Suzanna Son), personaggio femminile apparentemente troppo moderno per il suo tempo, un ibrido tra un’antesignana del #MeToo e una no-vax del Midwest.

Alla fine, contro ogni aspettativa, Murphy e Brennan fanno di tutto per farti empatizzare con Gein. Non perché lo giustifichino, ma perché è il prodotto marcio di una famiglia, di un Paese, di un secolo, di una malattia che ai tempi forse non tutti comprendevano. Addirittura si immaginano un contributo di Gein all’arresto di Ted Bundy, inventandosi una sorta di spin-off di Mindhunter, con i due agenti dell’FBI John Douglas e Robert Ressler ma un suo fantasma: la parte più buia, più malata, più umana.

Non risparmiare nulla: la violenza

Non risparmia nulla, non edulcora, non fa il finto moralista, non fa “lo dico” come gli sceneggiatori di Boris e come in parte sono stati gli altri capitoli di questa enciclopedica ricerca intorno al Male. Murphy e Brennan mostrano la pelle lavorata, i corpi squartati, le lampade con i capezzoli, il sesso con i corpi morti di donne in là con gli anni. E mentre riempiono le otto puntate di violenza e sangue, lavorano con il surreale, usano la mente di Gein come una lente distorta per far vedere il mondo con i suoi occhi, mica con i nostri, inventando fatti e situazioni, perché così lavora una mente malata, non con i dati certi. 

Tutto cammina sulle interpretazioni. Non pensavo Charlie Hunnam potesse essere così bravo, trasmutarsi, nascondersi e vestire la pelle di un uomo malato come se fosse una maschera di pelle umana, un po’ come il suo personaggio. Deve essere stato un lavoro estenuante. Laurie Metcalf è perfetta nei panni di Augusta Gein, e non potrò più vederla in quelli della mamma di Sheldon Cooper.

Sorprendente Vicky Krieps che si cala nella follia di Ilde Koch non lasciando niente indietro, naufragando nel male, incarnandolo. 

E quando scorrono i titoli di coda, resta addosso quella domanda che nessuno vuole farsi: e se il vero mostro fosse la nostra voglia di guardarli?

Ecco le migliori frasi e citazioni di Monster: La storia di Ed Gein

Le migliori frasi e citazioni di Monster: La storia di Ed Gein

Io dovrei farti castrare. Augusta

Sei così dolce che ti mangerei. 

Devo dirlo: è una vera delizia succhiarlo a Norman Bates mentre guarda Norman Bates.

Io posso perdonarti Eddie, ma non so se il Signore lo farà. Augusta

Ehi vuoi sentire un attore che si lamenta? Trovagli un lavoro. Toby Hooper

Siamo umani eppure non siamo più umani. È questo che avranno. Toby 

 A te l’uccello piace bello grosso. 

Sono bugie, nient’altro. Creano e incolpano mostri, le persone.

Siamo il passo successivo dell’evoluzione umana.

Io mi sento come un puzzle. Nessun pezzo si incastra. Nessun pezzo si incastrerà mai, temo 

Chi resta da solo non fa che riflettere. 

Un morto deve riposare. Io lo accetto questo. Io stavo solo cercando mia madre.

Questo posto è praticamente uno zoo ma con le persone. 

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