Nosferatu, il figlio del secolo
Nosferatu è un altro tassello nell’interessante filmografia di Robert Eggers, un uomo, un newyorchese ma che dico un regista che non deve chiedere mai. Nella sua ricerca del bello, bello, bello in modo assurdo, dopo Anya Taylor-Joy, Robert Pattinson, Alexander Skarsgård, stavolta scrittura Lily-Rose Depp e le affibbia il ruolo della vittima sacrificale del Conte Orlok/Dracula nel suo remake del classico del cinema muto di Friedrich Murnau.
Depp (Lily-Rose non Johnny) interpreta Ellen, una donna forte e bona, costretta dalle convenzioni della società del XIX secolo ad essere sposa fedele e madre di futuri marmocchi. È innamorata di Thomas Hutter (Nicholas Hoult) e Thomas sa bene come una così non la si può sfamare a pane e cipolla, soprattutto se te la vuoi tenere stretta. Così il buon Thomas accetta di compiere un viaggio in Transilvania per vendere un rudere al conte Orlok (Bill Skarsgård). Thomas fa l’agente immobiliare ed è sul gradino più basso della catena alimentare di una delle professioni più disprezzate della storia. Oltretutto Thomas non deve essere proprio sveglio perché quando alla stazione ti viene a prendere una carrozza senza conducente e dopo che gli indigeni ti hanno messo in guardia da un demone che abita la zona io qualche dubbio me lo sarei fatto venire. Insomma, il cliente è un vampiro, lascia Thomas a giocare a rimpiattino coi cani e vola nella grigia Wisborg da Ellen che il conte Orlok ha già adocchiato nei suoi sogni. Del resto, ma chi cazzo vivrebbe a Wisborg?
Al suo arrivo, Orlok porta con sé la peste e ci manca poco che Eggers dispone in circolo un pugno di cittadini con le FFP2 e i droni che inseguono corridori solitari sulla spiaggia tanto la trasposizione è sfacciata.

La caccia al demone coinvolge l’amico ricco e sveglio di Thomas Friedrich Harding – e io me lo immagino pronunciato “Frederaik” – e il bellimbusto interpretato da Aaron Taylor-Johnson non è tanto sveglio manco lui perché nun ce prova mai con Ellen/Lily-Rose ed è fedele alla sua Anna, con il volto e il fascino di Emma Corrin, anzi si lancia nella caccia al demonio Orlok, untore di Wisborg.

Al di là delle mie perversioni, il Nosferatu di Eggers è un raffinato tributo al classico di Murnau, al cinema espressionista e più in generale a quello di una volta: raffinati edifici di senso e significato ci innalzano verso l’evoluzione finale. È un horror evoluto Nosferatu, non una sequenza scriteriata di jump scare.
Orlok è del tutto privo del romanticismo epico da antieroe figo di Dracula raccontato negli ultimi decenni, così come lo abbiamo visto interpretato da Oldman ad esempio. Orlock non va in giro col completo buono e gli occhialini fighetti alla John Lennon, ma è un mostro deforme, roso dalla concupiscenza nei confronti di Ellen, del resto deve aver visto The Idol, daje torto.
A dispetto della sua scatola extralusso e la forma espressiva da cinema del secolo scorso, Nosferatu è profondamente inserito nel nostro tempo e lo racconta: il covid-peste, il desiderio di possesso fisico e psicologico della donna, il ruolo sacrificale di Ellen “per salvare tutti noi”. Tale costruzione visiva e filosofica è un po’ come la spada laser di Star Wars, adatta a tempi meno volgari dei nostri, ecco perché temo che tale tentativo sia destinato a restare perso nel chiacchiericcio dei social dei nostri giorni. Però, in effetti, anche due palle eh.
****½ Fa un po’ di tutto, anche se tutto quello che fa è bello ma inutile, un po’ come la matematica pura: magari non serve, ma è sublime.
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