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È stata la mano di Dio

58940È stata la mano di Dio è il film del 2021 di Paolo Sorrentino uscito in sala a fine novembre e sbarcato su Netflix dal 15 dicembre.

È stata la mano di Dio si apre con una sequenza impressionante di Napoli, come altre del resto che sul televisore di casa perdono tanto, ma comunque arrivano come una delle caratteristiche più forti e peculiari del cinema di Sorrentino. L’apertura è da brividi, con il giro che la cinepresa compie su tutto il golfo di Napoli e poi va a pescare un’automobile che corre. La notte, i fuochi d’artificio, San Gennaro e il lampadario acceso ma caduto sul pavimento. Il miracolo.

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Poi il film prende il via con un caldo racconto di vita familiare, coi ricordi indelebili di avventure improbabili in motorino, lunghi pranzi estivi di famiglia, con personaggi che sembrano usciti fuori da una gallery di freaks, i litigi, gli scherzi, la vitalità, i tradimenti, lunghi corridoi ritratti come in un horror del cinema espressionista tedesco. Un’ora che riempie il cuore. Poi lo spezza. Il film cambia completamente, il caldo è seguito dal freddo, dopo l’episodio biografico di Sorrentino, ormai ben conosciuto: la tragica perdita dei genitori, un evento che ne determinerà il resto della vita. E Sorrentino ne tira fuori una lezioncina su perché ha scelto di fare film (“La realtà è scadente. Ecco perché voglio fare il cinema”), sulla determinazione, sulla “necessità” di fare cinema. Come tutte le lezioni cerebrali, È stata la mano di Dio diventa improvvisamente freddo, i vuoti emotivi e architettonici seguono ai pieni emotivi di pochi minuti prima. E nel tentativo di “aggiustare” la realtà, Sorrentino sembra quasi giustificarsi per aver lasciato la sua città per cercar fortuna a Roma. Sapete tra Napoli e Roma c’è una grande rivalità sportiva, tra le due tifoserie non corre buon sangue e probabilmente Sorrentino vuole provare di essere ancora un tifoso della Curva B. Come Nino D’Angelo. Vabbé se scherza eh! Il finale, come la realtà, è deludente, con il confronto con il “Maestro” e la chiosa banale su Napulé, a raccontare un autore che ha lasciato casa, ma non l’ha mai dimenticata, fuggito per dolore, tornato per la catarsi. Bello, non bellissimo.

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