Il Divo: the dangerous lives of the Andreotti boys
Il Divo è Giulio Andreotti, l’uomo politico italiano – a torto o a ragione – considerato la mente oscura dei drammi di tutta la storia repubblicana o almeno, quella conosciuta come Prima Repubblica.
Il Divo è come un imperatore: ha la sua corte, i suoi fedelissimi, i suoi servitori ed i suoi soldati.
Il Divo è solo e vuole restare solo.
Il Divo vuole fare il bene ma è disposto a tutto, anche al male, per raggiungerlo.
Il Divo difficilmente scende in strada. Se lo fa è notte, in via del Corso, ben protetto dalla sua scorta e raramente incontra lo sguardo dei comuni mortali.
Anno di grazia del cinema italiano 2008, Il Divo di Paolo Sorrentino si apre con omicidi violenti, in stile poco pulp ma molto rock, assassini che hanno segnato e dato il ritmo a 50 anni di Italia. Tutti gli incubi ed i delitti di questa Italia malata che vuole sbarcare nella Terza Repubblica ma che deve ancora fare i conti con i demoni del passato, sono tutti proiettati sullo schermo: le accuse, i sospetti, i rimorsi, i complotti. A tutti si dà una dignità, tutti sono messi in scena, in un enorme melodramma a tinte fosche che è la nostra storia; tutti sono raccontati con una chiave surreale e simbolista. Quasi a voler significare: così è andata, attenti ai segnali… ma non solo: tutto si mescola, tutto è vero ma in fondo tutto è falso, la verità non esiste e cercarla porta ad una sola certezza, la morte.
Il Divo è perseguitato dai fantasmi, ma soprattutto da uno: Aldo Moro.
Il Divo si muove nell’ambito dei palazzi del potere italiano, tra statue classiche e classiciste tra le quali “ha una certa confidenza”.
Il Divo colleziona battute e Sorrentino ha amato collezionarle per noi: trovano tutte un posto in questo racconto e se non sono battute è la faccia del Divo, i pori della pelle, le orecchie alla Dottor Spock, le mani, le posture, che ce lo raccontano: riferiscono di meccanismi acuminati che si muovono dietro quegli occhietti enigmatici che tessono tele che devono salvare la Repubblica, perché il male serve a fare il bene.
In questa (triste) storia della Repubblica, dei suoi protagonisti – presentati tutti con un alias, come se fossero i cattivi di un pessimo fumetto, tutti fortemente caratterizzati, in cui spicca il Cirino Pomicino di Buccirosso e lo Sbardella ritratto da Massimo Popolizio come fosse l’Al Capone di De Niro, tutti intrisi di malata e perversa voglia di potere e di “politica” e per questo tutti più pericolosi del Divo – ciò che conta, in effetti, non sono fatti, gli aneddoti, le storie, il bacio a Riina. No, quello che conta è la forma del racconto: surreale, grottesco, trasognato, tutto in tinte scure come il primo Padrino di Coppola, e di cui la scena della festa di Cirino Pomicino ricorda l’apertura, ma in salsa fortemente italiana: un lungo e meraviglioso piano sequenza dentro una festa molto glamour con signorine molto allegre, Il Divo, la moglie Livia e il fidato Franco Evangelisti seduti su di una poltrona in mezzo agli altri, a confabulare, non guardano nessuno ma tutti guardano loro e tutti voglio porgere omaggio, salutare, chiedere qualcosa, il potere sfrontato che esige il proprio tributo; invece, Il Padrino era nascosto nella sua stanza, nella penombra, attendeva gli invitati – parenti ed affiliati, senza troppe signorine allegre – che desideravano un favore. Due mondi così lontani ma fortemente vicini.
La forma scrivevamo, quasi un pop americano, perfettamente costruito intorno a inserimenti improvvisi, carrellate veloci, primi piani che scavano, lunghe sequenze in ambienti stretti e dove raramente sbuca il sole. Il tutto in una cifra stilistica assolutamente moderna e contemporanea, molto pop ma anche molto complessa, con una eccellente colonna sonora che dà la misura del melodramma e/o della farsa che abbiamo vissuto e, in parte stiamo vivendo. Ogni mezzo è utilizzato per raggiungere lo scopo. Finalmente Il Divo è un film italiano contemporaneo, che accusa e che salvifica il nostro cinema e che non accampa scuse e non cerca delle redenzioni.
****&1/5; Fa un po’ di tutto, anche se tutto quello che fa è bello ma inutile, un po’ come la matematica pura: magari non serve, ma è sublime.
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Bella recensione, davvero bella.
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Bellissima direi. Però di il voto lo volevo più alto!!!
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Grazie a tutte e due, troppo buone
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Ma dopo una recensione così come faccio a vivere sapendo che ci vorranno anni prima che riesca a vederlo?
😉
Stefania
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@stefania: devi andare a vederlo, è un dovere civico ;-)))
saluti, grazie per le belle parole e torna presto
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Anche a me il film è piaciuto. Molto ben fatto dal punto di vista tecnico, musiche azzeccate e un maestoso Toni Servillo ad interpretare il ruolo del Divo. C’è tutta la cifra del personaggio Andreotti, la sua ambiguità, la sua impenetrabilità, il suo cinismo, ma anche l’enorme solitudine umana del personaggio, che è certamente scelta, ma che rende comunque più difficile la formulazione di un giudizio così netto sul personaggio Andreotti.
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Complimenti per la recensione.
Il film mi è piaciuto molto, l’ho trovato anche io molto contemporaneo, anche se distante dal cinema italiano contemporaneo. Un ritratto impietoso ma assolutamente realistico, che getta un’ombra su tutto il paese, di cui il Divo incarna i peggiori scandali (a detta sua) dal dopoguerra ad oggi. E anche lui si è ricreduto sul film, su cui si era inizialmente pronunciato in maniera molto negativa (http://www.repubblica.it/2008/05/sezioni/spettacoli_e_cultura/sorrentino-divo/andreotti-nuovo/andreotti-nuovo.html)
E se lo ha fatto lui..
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