Vai al contenuto

Era solo Annie Hall

Addio a Diane Keaton, la donna che ha insegnato all’America (e a noi) a essere imperfetti con grazia. Se ne va un pezzo di cinema, di eleganza e di noi: ma finché ci sarà una porta che si chiude, resterà anche lei.

Non eravamo pronti, ma lo sapevamo. Perché quando scompare un’attrice come Diane Keaton, se ne va un altro frammento di quel mondo in cui il cinema era fatto di persone, non aveva ancora ceduto completamente alla serialità o agli universi condivisi.

Per una generazione cresciuta innamorata di Annie Hall, scoprire la morte di Diane Hall– o, come la chiamava Woody Allen, Annie – è come ritrovare la vecchia VHS del primo amore e scoprire che non parte più.

Era solo Annie Hall, certo. Ma quella “solo” è un’illusione. Perché Annie Hall non era un personaggio: era uno stato mentale. Una timidezza che si ostina a sorridere, una cravatta troppo larga sopra una camicia di lino messa, una risata che si spezza nel momento sbagliato.

Era tutto quello che Diane Keaton è sempre stata: fragile e brillante, impacciata e meravigliosa, nevrotica ed irresistibile, una donna che ha trasformato la goffaggine in stile e l’indipendenza in dolcezza.

Il suo primo grande ruolo è stato Il Padrino, e già lì, dietro quella porta che si chiude su Michael Corleone, c’era tutta l’America che perdeva l’innocenza. Poi è arrivato Io e Annie, e il mondo è diventato migliore, ha imparato che una donna poteva vestirsi da uomo e restare comunque la più luminosa della stanza. Quell’Oscar non premiava solo un’interpretazione, ma un modo di stare al mondo: leggera senza essere frivola, intelligente senza essere spigolosa, libera senza chiedere scusa.

Diane Keaton è stata un’eroina del disincanto. La maestrina innamorata del gangster, la donna che salva il comico nevrotico, la compagna che cambia l’uomo senza mai volergli somigliare. È stata Woody Allen e la sua antitesi, la musa di Reds e la signora della commedia romantica in Tutto può succedere, capace di far arrossire Jack Nicholson più di qualsiasi ventenne.

Sempre ironica, sempre elegante, sempre Diane. Anche quando cambiava compagni – come un maschio direbbe qualcuno – da Woody Allen a Warren Beatty, da Jack Nicholson ad Al Pacino. Sempre libera, sempre lei.

Ci mancherà, sì. Ma non solo lei. Ci mancherà quella stagione del cinema in cui l’amore era imperfetto, le battute non erano scritte da un algoritmo e le attrici avevano rughe, voce e personalità.

Basta guardarla nella pellicola In cerca di Mr. Goodbar nell’anno di Io e Annie, vincitrice di un Golden Globe come Miglior attrice in una commedio o in un musical e contemporaneamente andata come Miglior attrice drammatica. O Ne Il Padrino o in Reds  e paragonarla con le commedie alleniane. O ne La stanza di Marvin e in Tutto può succedere – Something’s Gotta Give che le valsero altre nomination all’Oscar, anni dopo la vittoria con Io e Annie.

Ma più di tutto ci mancherà il tempo in cui potevamo innamorarci di una donna solo perché pronunciava “la-di-da” come se fosse una filosofia di vita.

E forse è questo che fa male, più ancora della notizia: non è solo Diane Keaton che se ne va, ma un’idea di cinema e di noi.

Ogni volta che uno di loro sparisce, è come se qualcuno spegnesse un lampione a Manhattan.

Ma, come direbbe lei, non serve lasciarsi andare.

Metti il cappello, prendi la bici, vai a prendere un caffè troppo caro e sorridi al cameriere.

Sii un po’ Annie Hall, oggi.

Perché finché ci sarà qualcuno che inciampa nei propri sentimenti e poi ride, Diane Keaton sarà ancora viva.

Lascia un commento