Visioni successive/Le variazioni di Moonrise Kingdom
Sam: So, what do you want to be when you grow up?
Suzy: I don’t know…I want go on adventures I think–not get stuck in one place. How about you?
Sam: Go on adventures too, not get stuck too.
1965, su un’isola del New England, Suzy e Sam fuggono per un campeggio. Sono innamorati. Suzy non si sente compresa dalla sua famiglia; Sam è reputato un ragazzo difficile dai genitori adottivi; il ragazzo molla i “boy scout” e parte con Suzy lungo un antico sentiero dei nativi americani. Insieme si fermeranno in una baia che ribattezzeranno Moonrise Kingdom. Lo sceriffo del luogo e il capo scout li cercano ma una volta ritrovati, saranno i compagni scout di Sam ad aiutarli a fuggire ancora per impedire che Sam finisca in mano ai servizi sociali.
Tutto nasce nella famiglia. I due ragazzini di Moonrise Kingdom fuggono dalle rispettive famiglie, per trovarne una nuova, quella rappresentata da degli affetti in grado di comprendere. Ma qui Wes Anderson inserisce un altro elemento: tutto il film è percorso dal tormentone rappresentato dallo “Young Person’s Guide to the Orchestra” di Benjamin Britten in cui il compositore presentava i diversi strumenti che compongono l’orchestra basandosi su un tema di Purcell: ogni strumento eseguiva una versione (variazione) dell’opera e alla fine tutti insieme si ritrovano per reinterpretarla di nuovo.
Sembra una metafora più o meno velata di quello che avviene in Moonrise Kingdom, in cui i singoli strumenti (i personaggi) portano ciascuno la propria personalità anche dissonante con il resto della truppa, ma, alla fine, tutto sembra muoversi verso una sinfonia generale in linea con una poesia e una sensibilità “andersonesque”. Il quale usa le sue trovate, la sua ironia spiazzante, per muoversi in assoluta libertà ma ritrovando, dopo la tempesta che sconvolge la storia e l’esistenza dell’isola del New England, un punto di equilibrio nel mondo dei suoi personaggi che non vuol dire quiete quanto perfetta integrazione nelle differenze.
Moonrise Kingdom è frastagliato da singoli momenti, intensi: i lunghi piano sequenza in orizzontale, in cui il mondo sembra procedere nella direzione giusta, le sottolineature piene di verve del soundtrack di Desplat, i buchi nelle orecchie di Suzy (perdita della verginità nemmeno tanto metaforica).
Il Moonrise Kingdom di Anderson è una placida baia sull’Atlantico in fuga dalle regole degli aduti e dalle loro meschinità, una fuga da un mondo fatto di cartellini, note di biasimo. In Moonrise Kingdom siamo tutti uno strumento che aiuta a comporre una grande sinfonia, abbiamo tutti bisogno degli altri anche se a volte, per farlo, bisogna uscire dal proprio spartito.
****½ Fa un po’ di tutto, anche se tutto quello che fa è bello ma inutile, un po’ come la matematica pura: magari non serve, ma è sublime.
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Grandissimo, uno dei film migliori dell’anno. E uno dei migliori di Anderson, anche se scegliere è difficile. Forse riuscirò a scriverne in questi giorni.
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