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L’Eternauta – Gli alieni, la neve e la miseria umana

“C’è una neve che scende dal cielo e una che ti cade dentro.” – Non lo dice la serie, ma poteva dirlo.

Quattro amici, un tavolo da gioco, l’atmosfera da briscola del sabato sera e poi puff: tutto si spegne. Luci, telefoni, radio. Fuori, la gente cade a terra come se avessero appena annunciato l’ennesimo rincaro Netflix. È la neve. Una neve assassina, che non viene da Cortina ma da qualche incubo distopico. Scende lenta, luminosa e letale. E qui già capisci che non sarà una roba tipo Love Actually.

Così comincia L’Eternauta, la serie pessimista come una notte senza wifi, che prende la graphic novel argentina più importante della storia (dopo Maradona in versione figurina Panini) e lo trasforma in un survival distopico dove nessuno sopravvive bene, né fuori né dentro.

Un fumetto diventato profezia, una serie diventata terapia

Il fumetto originale fu edito tra il 1957 e il 1959. Esplose nella cultura popolare. Era la cronaca travestita da fantascienza della paranoia argentina post-Perón, con un sottotesto politico talmente potente che il suo autore, Héctor Oesterheld, fu successivamente fatto sparire dalla dittatura militare nel 1976. Non metaforicamente. Proprio desaparecido. È quello che ha sempre fatto la fantascienza: prendere le paure collettive e trasformarle in futuro. O in incubo. 

Netflix prende questa eredità e decide di aggiornarla ai giorni nostri, spostando l’epoca e smussando i bordi argentini. L’angoscia resta, come un algoritmo impazzito che continua a suggerirti reality con Fedez anche dopo averlo bloccato.

Juan Salvo: eroe per caso con la faccia di Ricardo Darín

A tenere tutto in piedi c’è lui: Ricardo Darín, uomo, attore, patrimonio nazionale. Ha recitato nei film argentini più belli o almeno i più belli tra quelli che ho visto io. Interpreta Juan Salvo, protagonista e coscienza pulita del gruppo. Insieme a lui ci sono la moglie (ora ex, perché evidentemente anche l’apocalisse rispetta la legge 104 delle soap opera), la figlia adolescente in piena fase “non mi importa se fuori c’è la morte, io voglio vivere scampoli d’assenza in barca e ascoltare la trap”, e a proposito, come disse Fantozzi “prendo la vecchia”. Poi c’è il gruppo di amici che rappresentano tutte le reazioni possibili all’ignoto: razionalità, panico, paranoia, e l’inevitabile “facciamo un comitato condominiale che controlli tutto con i fucili”.

Tutti a vedere il Boca

La vera minaccia? Non gli alieni. Siamo noi

Per due terzi della serie, gli alieni non si vedono. La minaccia è la neve e la reazione dell’uomo. Che, puntualmente, è la parte peggiore dell’invasione. C’è chi saccheggia, chi spara a vista, chi si barrica con la scusa della “sicurezza”. È il classico momento in cui ti rendi conto che in ogni essere umano alberga un piccolo Gérard Depardieu di quartiere, pronto a difendere l’orto con un kalashnikov.

È qui che la serie si avvicina alla fantascienza più nobile, quella che non parla degli alieni per parlare degli umani. Come L’invasione degli ultracorpi, The Mist, The Road. Ma con più mate e meno speranza.

L’invasione dei cascarudo (gli scarafaggi succhiasangue)

Solo negli ultimi episodi arrivano gli alieni veri: i cascarudo, enormi insettoni con tentacoli succhia-anima che sembrano disegnati da uno che ha visto Starship Troopers con la malaria. In CGI sono anche convincenti, ma non aspettatevi Dune o District 9. Sembrano più le mascotte di un rave illegale andato malissimo.

Il design resta fedele allo spirito del fumetto: essenziale, disturbante, un po’ cheap. Ma funziona, soprattutto nella Buenos Aires in scala di grigi che sembra uscita da un romanzo di Saramago illustrato da Goya.

L’inquietudine come storytelling

L’Eternauta non gioca sul ritmo, ma sull’atmosfera. È lenta, ma non fiacca. È cupa, ma non piatta. I dialoghi sono spesso sussurrati, i silenzi parlano più delle parole e la tensione cresce come la coda alla posta. Non sai mai se chi bussa alla porta è un amico, un alieno o un boomer con la pistola che ha letto troppi post su Facebook.

Il montaggio spesso ricalca le tavole del fumetto, con inquadrature strette, continuità claustrofobiche e quella sensazione di spazio che si restringe, anche se sei all’aperto. Un po’ come una pandemia, ma con più stile.

Cosa resta?

Resta una storia di fantascienza adulta, politica senza fare comizi, emotiva senza fare la drama queen. Resta l’idea che, anche quando gli alieni ti invadono e la neve ti uccide, il problema più grosso resti sempre lo stesso: l’essere umano. Quello che, davanti all’apocalisse, invece di collaborare preferisce fondare un partito.

Se ti è piaciuto: A Quiet Place, The Road, il gruppo WhatsApp del tuo condominio durante il lockdown.

Se non ti è piaciuto: torna pure a guardare Outer Banks, dove l’unico pericolo è morire di addominali.

Voto: 8/10

Motivazione: per come riesce a tenere in piedi una storia d’altri tempi, trasformandola in uno specchio storto dei nostri. E anche perché ogni tanto, vedere morire i peggiori tra i personaggi ti dà una soddisfazione catartica.

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