Squid Game 3 – Colpi di scena, miliardari idioti e reality marci: ma che fine ha fatto la lotta di classe?
Squid Game 3 è tornato, e stavolta ha deciso di scrollarsi di dosso tutto quello che lo aveva reso interessante: la critica sociale, il capitalismo cannibale, la metafora politica. Ciao corea del Sud, benvenuti Netflix Studios™.
Quella che era iniziata come una riflessione distopica sulla lotta di classe è diventata un Fortnite per adulti con la pretesa di fare la morale, ma la morale, a ‘sto giro, se l’è mangiata un VIP travestito da orso dorato.
E allora via di giochi, sangue, twist telefonati, personaggi inutili (ciao Hwang Jun-Ho, scusa per averti pensato rilevante) e un finale che non spiega nulla perché tanto lo spin-off americano con Cate Blanchett è già in pre-produzione.
Squid Game 3 è quella serie che si era presentata al mondo come una bomba sociale travestita da survival game e che adesso, dopo tre stagioni, somiglia più a Temptation Island girato da Zack Snyder con cinque miliardari della Silicon Valley vestiti da carnevale veneziano. Uno Snyder sfigato, sia chiaro.
La pandemia, la noia e l’algoritmo l’hanno resa un fenomeno globale, ma oggi la creatura di Hwang Dong-hyuk sembra una copia stanca di sé stessa, tutta presa a inseguire colpi di scena che scivolano via come le gif nei gruppi WhatsApp dei boomer.
La riflessione sul capitalismo distopico? Smarrita nel tragitto.
La rappresentanza democratica? Votata all’unanimità al Dio del Clickbait.
Il povero Hwang Jun-Ho? Aveva un arco narrativo, ma si è perso nei corridoi della trama come uno stagista di Netflix a Los Gatos.
I VIP? Inutili. Come la tuta della ginnastica alle superiori.
Il finale? Un gigantesco teaser per Squid Game: Origins, dove Cate Blanchett interpreterà Elon Musk dopo una crisi esistenziale e con la passione per le trappole mortali.
Come gli anziani inaciditi dal tempo, come chi nasce incendiario e muore pompiere, come quelli che il cuore è a sinistra e il portafoglio a destra, Squid Game 3 stravolge tutto e lo gira in una disperata sfiducia nella umanità, nei suoi valori, tutti pronti ad ammazzarsi per dividersi il montepremi, a passar sopra ai valori a meno che non siano in moneta contante. Pronti a uccidere neonati, madri, amici e amiche, solo Gi-hun col suo sacrificio finale nobilita il genere umano.
E resta quella domanda, l’unica vera, che attraversa tutta la stagione come una cicatrice aperta sul volto della sceneggiatura:
Ma come cavolo fai a portà una incinta lì dentro?
Conclusione (con stoccata)
Squid Game 3 non è brutto. È vuoto.
È una serie che si crede ancora “scomoda”, ma ha la radicalità di una bottiglietta d’acqua Evian sul jet privato.
È l’ennesima dimostrazione che la vera lotta, oggi, è quella tra lo storytelling e l’algoritmo. E l’algoritmo, purtroppo, non perde mai.
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