Dogman: oltre la maschera
Dogman è il film del 2023 di Luc Besson con l’incredibile prova attoriale di Caleb Landry-Jones.
Doug cresce subendo terribili violenze dal padre, con la complicità del fratello e il silenzio della madre. Allo scoppio dell’ennesima lite familiare, Doug (Caleb Landry-Jones) è trascinato nella gabbia dei cani da combattimento del genitore e lì abbandonato a condividere il suo destino insieme alle amate bestie.
Anni dopo, in un confronto-confessione con la psichiatra della polizia, Evelyn (Jojo T. Gibbs), Doug racconta come sia arrivato in commissariato ferito e travestito come Marilyn Monroe alla guida di un furgone carico di cani.
Dogman è una storia di martirio, vendetta, sofferenza, trasformazione, esclusione. Il giovane Doug è ingabbiato e ferito, perde l’uso delle gambe e cerca per tutta la sua sfortunata esistenza una via di salvezza: il teatro, l’amore, il lavoro, i cani, finché un giorno, all’ennesimo rifiuto, allo spezzarsi del legame con la donna che amava, Doug incontra il suo bidone carico di veleni radioattivi (o ragno nucleare, se preferite): il dolore lo trasforma quasi in un personaggio dei fumetti o dei cinecomics, un super villain dotato di poteri psichici, per comandare i suoi amati cani, utilizzati come mezzo di sussistenza, ladri e killer.

Non è difficile identificare Doug in una sorta di Joker in sedia a rotelle. Citando Phillips con studiati primi piani e a più riprese anche Il Silenzio degli Innocenti (il cane chiamato Gorgeous che richiama Precious, la cagnolina di Buffalo Bill o la vestaglia), la chiave della rinascita personale è il travestimento: come il trucco da clown per Arthur Fleck, Doug raggiunge la libera espressione di sé solo esibendosi, travestito, sul palco di in locale di drag queen, diventando di volta in volta Edith Piaff o Marilyn Monroe. Solo indossando una maschera Doug può essere davvero libero anche dalle costrizioni fisiche. Nel locale Luc Besson regala uno dei momenti più belli del film: l’esibizione quando, per la durata di una canzone, Doug è libero, in piedi, mentre vola e fa volare grazie alla sua voce e l’espressività della sua sofferenza. Da quel momento cantare davanti a un pubblico, ma soprattutto ad altre persone che come lui hanno bisogno di mettere una maschera per essere davvero libere, diventa la sua isola felice. Finché la realtà, nei panni di un assicuratore non distrugge tutto.

Besson viaggia in bilico tra benedizione e violenza, tra luce e oscurità. Il suo cinema è dalla grana grossa: la violenza è sanguinaria, la dolcezza causa il diabete. Come dimostra la carriera del regista francese, anche le opere meglio riuscite raccontano un narratore a tratti sublime, ma in altri momenti superficiale. La sua regia ha una economicità essenziale: un paio di montaggi paralleli fanno marciare la storia più di tutto il resto del film. Alla fine resta l’impressione di aver assistito a una clamorosa prova di attore di Caleb Landry-Jones nei panni di Doug, in grado di divorare tutto il film, eguagliato solo dal team dei cani – preziosi, espressivi, determinanti – mentre il resto del cast si è quasi diretto da solo e si fa fatica a ricordare qualche personaggio – come la scoperta di una Marisa Barenson quasi sottoutilizzata.
***½ Non hai mai sentito nominare il Millenium Falcon?
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