Prima visione – Povero Diaz, Duca della Vittoria
Quando il pullman degli arrestati alla scuola Diaz imbocca il tunnel tra le montagne liguri, provi un senso di sollievo. Per la prima volta Daniele Vicari ti lascia respirare. Poi i titoli di coda, con i cartelli sulle condanne di secondo grado e la lista delle vergogne italiane. La fine del film lascia un paese degno di una dittatura da terzo mondo, dove le guardie girano impunite, in cui il reato di tortura non esiste e il Parlamento è connivente.
Diaz-Non pulite questo sangue è la ricostruzione attraverso differenti punti di vista – quello delle vittime, quello dei colpevoli, quello dei carneficim, quello di chi ha pianificato e quello di chi ha guardato senza fare niente – dei fatti della scuola omonima e di ció che avvenne nella caserma di Bolzanetto.
Dopo due ore, Diaz-Non pulite questo sangue mantiene quello che promette ma a cui io non volevo credere: una rappresentazione di una violenza cieca e ingiustificata, un abbandono alla barbarie. A Vicari interessa solo questo: non c’è nè prima nè dopo. Ci sono gli innocenti, vittime sacrificali, giovani idealisti che non vogliono semplicemente guardare le navi dei potenti della guerra danzare nel Mediterraneo; ci sono i black block che si nascondono dai carnefici tra i primi. Poi i poliziotti, perfetto cliché della follia che si nasconde della normalità, esattamente come te li aspetti, come guardare le SS di Schindler’s List nelle 24 ore antecedenti l’assalto al ghetto di Varsavia.
La rappresentazione della violenza è tutto in Diaz-Non pulite questo sangue, così come la tortura. Ciò ne fa, come qualcuno più bravo di me ha scritto, un horror: le manganellate di facce scure e senza volto; i prigionieri chiusi in gabbia con la faccia contro il muro; le umiliazioni stile Abu Ghraib, anzi meglio perché prima di Abu Ghraib. Noi italiani abbiamo sempre aperto le strade della conoscenza. Ma i rumori, i suoi degni di un mattatoio, il rumore del Tonfa che si abbatte sui malcapitati.
Diaz-Non pulite questo sangue ti prende a manganellate e non lo potrete dimenticare.
Tutto girato con gusto e maestria ma senza la benchè minima attenzione al “prima” e al “dopo”: vittime e carnefici non sono arrivati casualmente nei vicoli micidiali di Genova: il VII composto dai più duri celerini, i manganelli Tonfa (praticamente un’arma) che stranamente arrivano sei mesi prima di Genova. Simboli per cui mancano spiegazioni che potete cercare altrove, se vi interessa, ma non chiedete a Vicari, lui era impegnato in altro.
Una citazione per gli attori: il film è corale, quindi non vi aspettate che Elio Germano o Claudio Santamaria vi riempiano gli occhi perchè restano sullo schermo relativamente per poco tempo. C’è pure Biascica mentre confesso che ogni tanto mi aspettavo di ver spuntare il mascellone di Favino tra gli agenti della Celere. Ma ribadisco: Favino non c’è.
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Grazie per l’hint su Favino. Non c’era perché impegnato in altri dodici film, bisogna capirlo.
Quanto alle spieghe: in itaGlia meglio non darne troppe o il film non esce, ci siamo capiti, eh (in USA dove sono sporchi uguale ma più liberali non c’è da aspettare dieci anni da un fatto di rilevanza -inter-nazionale per esprimere il proprio artistico parere). Vedere il Giordana bravo ma paraculo
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Io certe cose le so perchè ho letto Acab di Bonini ma secondo me la storia dei Tonfa o del VII andava spiegata
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