Visioni successive – Il dio del massacro
Poco dopo l’inizio di Carnage la mia mente è volata a un piccolo gioiello del cinema di sempre: Nodo alla gola di Alfred Hitchcock. Come la pellicola di Polanski, si svolge tutto in due o tre ambienti in un appartamento di New York (e se l’inglese nel 1948 girò a Los Angeles mentre dalle finestre si intravede lo sfondo di New York, il francese è stato costretto dalla sua cattività forzata a lavorare a Parigi incastonando il film nelle riprese iniziali in un parco della Grande Mela dove si incontrano, scontrano e riappacificano i due ragazzi che scatenano il conflitto). Entrambi sono una riflessione, amarissima, sulla natura umana. Quello di Polanski è più riuscito dal punto di vista attoriale: allora c’era il grandissimo James Stewart; oggi due donne strepitose come la Foster e la Winslet accompagnate dal talento incredibile di Christopher Waltz e da un John C. Reilly che, malgrado il suo background da onesto commediante, sfigura di fronte ai tempi comici dei vicini e più consumati interpreti drammatici.
Il confronto con Nodo alla gola, però, è deleterio perchè a una messinscena così volutamente sottotono e statica sarebbe servito una scatto in più, un’invenzione dietro la macchina da presa. È quello che fece Hitchcock raccogliendo la sua opera intorno a 11 piani sequenza, collegati in modo da sembrare un’unica ripresa. Avrei amato un colpo di genio (e di tecnica) simile che staccasse il mio stanco occhio dalle pur encomiabili faccette di Waltz (devo rivederlo in lingua originale per apprezzarne l’accento… del resto ricordate Waltz in Bastardi senza gloria, vero?), una Foster che arriva alla fine quasi trasfigurata, una Winslet perfetta nei panni della mamma un po’ repressa e molto stressata da un marito assente e una vita che non riesce a interpretare le sue aspettative.
Nell’appartamento newyorchese dei coniugi Longstreet, i padroni di casa incontrano i Cowan, genitori dell’adolescente che, durante un diverbio in un parco, ha picchiato con un bastone loro figlio. La sceneggiatura è piena di sfumature e colpi di genio, come il voler iniziare quasi dalla fine: le coppie si stanno salutando sulla porta ma vengono risucchiate dentro casa e nel gorgo della discussione da una serie di piccoli avvenimenti che in un contesto tanto ristretto assurgono al rango di eventi epocali: un telefono che squilla, un malessere intestinale, tutto sembra contribuire all’incantesimo che impedisce ai quattro di lasciare la casa. Ovviamente i modi civili di confrontarsi mostreranno ben presto la loro natura di facciata per la gestione della rabbia e dell’aggressività verso il prossimo, anche se è il compagno (o la compagna) della nostra vita.
L’equilibrio dell’educazione della convivenza civile e la falsità del politically correct è spezzato in più punti da eventi “naturali” come il vomitare su un libro o scatti d’ira che affogano un blackberry o scagliano in terra una borsetta, restituendo il mondo a un equilibrio in cui tutti siamo soli a confrontarci con il nostro prossimo e in cui anche una donna emancipata come la Winslet/Nancy Cowen pretende che il marito la difenda.
Carnage diventa un confronto non tanto di mondi (l’approccio di classe è accennato all’inizio, i Cowan sono un avvocato e una broker finanziaria, i Longstreet un rappresentante di articoli per la casa e un’aspirante scrittrice) quanto di genere – presto gli uomini finiranno a fare squadra, molto di più di quanto riescano le donne – e di individualità con Alan/Waltz emblema della moderna filosofia dell’homo homini lupus. “Io credo nel Dio del massacro” dirà. È difficile dargli torto.
****La vita è come una scatola di cioccolatini: non sai mai cosa ti può capitare
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