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Avatar – Il nuovo cinema dentro un film d’altri tempi

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avatarAl di là di tutte le speculazioni tecnologiche che accompagnano l’arrivo nelle sale dell’ultima fatica di James Cameron, c’è una cosa che va detta subito: Avatar è uno degli spettacoli più belli della storia del cinema. Il film e il mondo che vediamo sullo schermo rappresentano senza dubbio un confine e un punto di partenza per tutto quello che verrà in futuro.

Avatar dura 162 minuti che passano tutti di un fiato e il merito non è certo della storia. Lo scrivo subito: James Cameron non ha mai brillato per sceneggiature particolarmente originali. Ama raccontare gli elementi fondamentali della vita, della morte e dell’intrattenimento, e tagliare i personaggi con l’accetta: da una parte i buoni, magari alcuni un po’ burberi, dall’altra i cattivi. Non si possono avere dubbi. La storia di Avatar è chiara fin dal trailer: la Terra sta morendo, abbiamo bisogno di un minerale che abbonda su Pandora. Tra noi e la ricchezza c’è la popolazione indigena dei Na’vi. Jake Sully è un marines paralizzato a cui è offerta l’opportunità di tornare a camminare grazie agli avatar, organismi biologici in tutto e per tutto uguali ai Na’vi, da guidare in remoto attraverso un link neurologico. Ufficialmente gli avatar dovrebbero gettare un ponte tra uomini e i Na’vi, favorire la comunicazione e cercare una soluzione diplomatica al nascente conflitto; in realtà solo la forza dirimerà la questione.
Avatar è un western: Pandora è una terra di frontiera, una frontiera spaziale, e per ampi tratti il film ricorda addirittura Balla coi Lupi. Ma tutto questo non conta nulla. Come non conta il messaggio, ecologico e pacifista che c’è nella sceneggiatura. Il regista di Titanic sta alle guerre del nostro tempo come Manzoni stava all’indipendenza d’Italia. Tratta l’argomento con la grana grossa e la metafora è facilmente smascherabile. Forse troppo. Nel vedere il corpo di armata su Pandora non si può non pensare agli eserciti di invasione in Medio Oriente, soprattutto quando fa dire a uno dei suoi personaggi “se qualcuno sta seduto su una cosa che vuoi, lo fai diventare un nemico”. Tutto in Avatar è bianco e nero, è natura contro meccanica, è oscurità contro luce, “chiuso” contro “aperto” (gli umani viaggiano nello spazio forti della loro tecnologia dentro delle scatole, possono muoversi su Pandora solo con delle maschere per respirare e con degli esoscheletri blindati, mentre il collegamento con gli avatar avviene in bare super tecnologiche; spesso la cinepresa segue i movimenti di queste scatole fin nell’oscurità dei propri loculi, in contrasto con i Na’vi che vivono all’aria aperta in perfetta simbiosi con l’ambiente che li circonda); come in Titanic, Cameron crea un mondo perfetto ed elementare, dove si muovono istinti ed emozioni primordiali. Ma il punto non è la storia, non lo è mai stato. Cameron mette in piedi una nuova scenografia interamente in digitale in cui si muovono attori, pulsioni e vicende vecchie come l’uomo: quelli bravi dicono che rivoluzione di Cameron consiste nell’aver sviluppato una tecnica per vedere gli attori mentre si muovono nell’ambiente virtuale, ed è il regista, non il “mago” degli effetti speciali”, a muovere la camera dove vuole. È il suo occhio a creare l’azione, la magia, il suo sguardo si muove liberamente e ci trascina in una giostra incredibile in cui possiamo volare, schivare proiettili, girare a 360 gradi intorno a montagne volanti mentre un enorme bombardiere ci spara missili contro.
È un nuovo mondo e un nuovo cinema debitore di tanto del passato: abbiamo scritto del western ma anche lo Spielberg di “Jurassic park” (gli animali di Pandora ricordano molto i dinosauri del crichtoniano “mondo perduto”) mentre in alcuni momenti Cameron cita apertamente l’amico/collega proprio nelle vorticose scene di battaglia “a terra”. Tutto è “finto” ma tutto è perfetto come forse neanche la realtà può essere. La cinepresa si muove libera e regala momenti di intrattenimento, brividi ed emozioni, difficilmente dimenticabili, con una fluidità e una capacità di sguardo, superiore a tutto quello che abbiamo visto fino ad oggi. Anche il 3D ci consente di muoverci con maggior consapevolezza tra i diversi piani dell’inquadratura.
Ora ci vorrebbe una bella conclusione ma non c’è, sembra invece l’inizio di una bella storia.
Blog foto: bianca 2bianca****&1/2;
Fa un po’ di tutto, anche se tutto quello che fa è bello ma inutile, un po’ come la matematica pura: magari non serve, ma è sublime.

8 pensieri riguardo “Avatar – Il nuovo cinema dentro un film d’altri tempi Lascia un commento

  1. Ehm…no.
    Cioè, non è che per tornare all’idea di Cinema dei Lumiere tocca per forza lobotomizzarsi e cancellare un secolo di evoluzione del linguaggio.
    AVATAR è, sostanzialmente, un pachiderma ecologista basato sul nulla.
    Onestamente non mi è bastata la straordinaria esperienza visiva perchè – appunto – tutto è rimasto solo a livello retinico.
    Sono rimasto davvero sconvolto dall’infantile superficialità e dall’inesistente spessore di un giocattolone vuoto e sterile.

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  2. @Countryfeedback: Ma perchè fare sempre e solamente gli intellettuali e non ammettere che, come è giusto che sia, il cinema è anche intrattenimento. Che dico anche, il punto è proprio quello, poi ci possono essere lo spessore e l’arte, fondamentali, ma non sempre. Avatar è un sogno immaginifico, un intrattenimento emozionante e, sì perchè no, semplicemente infantile. Ed è bello proprio per questo.

    R.

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